In questi giorni di “serrata totale” (o quasi) del nostro Paese a causa dell’emergenza Coronavirus, in molti di noi si sono trovati a fare i conti con soluzioni nuove, come lo smart working o il remote learning, o semplicemente con una quantità improvvisamente grande di tempo libero a disposizione da trascorrere tra le mura domestiche.
Quale che sia l’attività che svolgiamo a casa, le condizioni di questa nostra quarantena sono state innegabilmente mitigate dalla diffusione del digitale e dell’infrastruttura di Internet che hanno permesso una diffusione quasi capillare dell’online streaming, della presenza sui social networks e delle videochiamate di gruppo.
Ne parliamo con Daniele Albrizio, network manager dell’Università degli Studi di Trieste.
Daniele, innanzitutto come stai, come passi queste giornate?
Veramente intense e strane. La noia non mi appartiene. Ho iniziato da un giorno il lavoro “agile” chiamato anche smart working. Lavoro da casa, con meno occasioni di incontrare SARS-CoV-2, qualche difficoltà in più, ma soprattutto senza orari. E mi riferisco soprattutto a quelli di fine giornata.
Venendo al tema della nostra chiacchierata, qual’è lo stato della nostra infrastruttura internet nazionale dal tuo punto di vista?
Non ho la visione globale del sistema di telecomunicazioni italiano dalla mia posizione. Suppongo tuttavia che gran parte delle persone che lavorano sulle infrastrutture presso i vari provider commerciali, fornitori di servizi digitali, reti di interconnessione e trasporto, internet exchange e call center si stiano specializzando in acrobazie degne del Cirque du Soleil per far funzionare il tutto.
Solo per quanto riguarda i contenuti digitali e limitatamente a uno dei big player in materia, sappiamo che il traffico è cresciuto del 30% in questo periodo di quarantena. Qualche giorno fa il MIX, il principale punto di interconnessione fra le reti internet italiane ha fatto il record di 1.1 Terabit al secondo di traffico fra i provider, ma sono sicuro che negli ultimi giorni è stato superato. Per capire la quantità, basti pensare a più di diecimila volte la capacità della connessione casalinga più diffusa.
In Italia ancora troppe persone però si trovano in zone di digital divide dove una connessione decente non arriva rendendole ancor più isolate in questi frangenti.
Per quanto riguarda gli enti di ricerca e le università, la rete nazionale utilizzata è quella di GARR: una infrastruttura ben progettata e mantenuta che, grazie alla banda bilanciata in upload e download, ha permesso sostanzialmente di ignorare l’inversione della direzione del traffico ottenuta in una settimana a causa del telelavoro e delle lezioni in streaming. Questo naturalmente non sarebbe potuto accadere su linee intrinsecamente asimmetriche come adsl/vdsl/fibra FTTH o rete mobile 4 e 5G.
Per quanto riguarda l’Università di Trieste, fino ad ora, sebbene ci aspettiamo un aumento sostanziale per la prossima settimana, le connessioni remote da casa sono aumentate del 500% e ancor di più la fruizione dei contenuti in streaming da parte degli studenti.
Arrivavamo preparati a tutto questo? ci sono stati disservizi?
E’ difficile arrivare preparati a una emergenza di tali dimensioni. La sapiente gradualità dei provvedimenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha permesso di correre ai ripari in molti settori compreso il nostro in maniera da non provocare un eccessivo disagio e allarmismi negli utenti.
I cambiamenti repentini che si notano nei servizi digitali in questi giorni non sono migliorie progettate, ma quasi sempre sono obbligate dalla situazione. Ci sono e ci saranno disservizi. Tutti i service provider risponderanno a questi in maniera più o meno tempestiva, e qui si vedrà la loro resilienza e capacità di rimettere in ballo prima di tutto i modelli diversi di organizzazione del lavoro per rispondere all’emergenza: è la prima cosa che è stata fatta anche qui da noi. Ci vuole flessibilità mentale, capacità di rimettere tutto in gioco, capacità di adattamento e perché no, un po’ di inventiva. Queste sono le qualità che il mondo riconosce agli italiani.
Adesso non ce ne accorgiamo ma siamo osservati, sorvegliati speciali e siamo misurati da tutto il mondo molto più di quanto noi misuriamo noi stessi (non ne abbiamo il tempo in questo momento, gli altri invece sì).
Come in tutte le emergenze di una certa portata, il primo risultato è lo spostamento più o meno impattante degli equilibri: da un lato il disastro di un sacco di figure professionali impossibilitate ad eseguire il proprio lavoro e di milioni di persone che fino ad adesso semplicemente sopravvivevano, dall’altro carichi di lavoro quasi insostenibili per i soccorsi, per gli approvvigionamenti, per quelle figure professionali che entrano fortemente in campo. Fra questi cominciamo a incontrare sia chi vuol lucrare sulle disgrazie, sia chi dona gratuitamente e semplicemente la sua opera come molti italiani sanno fare, riconoscendo lo stato di necessità.
Abbiamo imparato che dietro ai virus ci sono persone che si impegnano da una vita su questi e sono specializzate tutte in uno o in qualche aspetto del fenomeno. Abbiamo imparato ad apprezzare e stimare non solo il lavoro più evidente dei medici di urgenza, ma anche quello più nascosto e importante di virologi, epidemiologi, immunologi.
Ugualmente nell’Information Technology non ci sono solo i tecnici informatici, ma anche i sistemisti, i retisti, coloro che si occupano delle piattaforme di streaming, altri che si occupano delle videoconferenze. Fra questi profili, ogni persona è specializzata in un determinato aspetto. In questo frangente però siamo costretti a fare sistema e questo è un bene.
Abbiamo imparato qualcosa? verso quale futuro ci stiamo muovendo e quali sono i passi che dovremo intraprendere a livello tecnico per migliorarci?
Sembra che la cosa che facciamo di più in questi giorni sia usare delle videoconferenze con il lavoro, con gli amici, con i propri cari. Fortunatamente questo avviene in un momento in cui l’offerta di strumenti di videoconferenza è matura e varia. Questo è dovuto, secondo me, anche alla maturità delle implementazioni tecnologiche di HTML5 e WebRTC nei browser web (Firefox, Chrome, ecc.). Gli strumenti utilizzabili gratuitamente, o in cambio dei propri dati personali, differiscono per alcuni particolari: la possibilità di spegnere il microfono degli ospiti da parte dell’ospitante, la possibilità di chiedere la parola, l’avviso che si sta parlando a microfono spento, la segnalazione automatica di problemi di rete con l’indicazione di quale connessione li abbia (se la propria o quella dell’interlocutore). Su questi dettagli tecnologici si giocherà l’utilizzo degli strumenti di videoconferenza da parte degli italiani in questi giorni.
Altro aspetto positivo è che costringendoci a casa davanti al computer senza tecnico a domicilio abbiamo trovato un modo per ridurre un po’ l’analfabetismo informatico degli italiani. Prendiamo dimestichezza con microfoni, illuminazione, webcam: diventa una competenza di massa a cui non so assegnare in questo momento un futuro chiaro. Certo l’italiano è da sempre di indole molto comunicativa.
Tornando alla domanda, secondo me i passi che dobbiamo intraprendere non sono dei passi tecnici.
Le infrastrutture di connettività sono generalmente ben finanziate in confronto ad altri generi di infrastruttura, forse perché le si associa direttamente al progresso e al vantaggio competitivo. Faccio però una similitudine. Non è sufficiente comprare una flotta di autobus per gestire i trasporti: ci vogliono una quantità adeguata di autisti ben pagati e motivati, una politica di marketing vincente, una sapiente gestione del routing e delle tabelle dei tempi, un management lungimirante, l’integrazione con le reti di trasporto esistenti per evitare di avere bus vuoti o insufficienti. Va anche regolata la concorrenza a livello legislativo in modo da non lasciare aperte facili scappatoie a danno dell’utenza e va vigilato in maniera ancor più ubiqua il digital divide.